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Le città invisibili - 9788804425540

di Italo Calvino edito da Mondadori, 1996

Informazioni bibliografiche del Libro

 

Pare che Calvino piegasse a propria schiena al tavoloda avoro, il petto pigio sulo stomaco, e chiudesse gli occhi: per pochi secondi. Poi, rialzate e palpebre e riabituate e pupile ala uce, cominciava a vergare un ritratto veloce, celere quant’è celere ciò che hai veduto chiarissimo e che vuoi rendere subito. Nascevano così, pare, "Le città invisibili"di Italo Calvino. E, pare, che egli al’iniziodel suo nuovo avoro non sapesse che farsenedi questi posti irreali, ontani ed effimeri eppure così vicini e presenti nei suoi occhi socchiusi. Il ibro venne naturalmente, come insiemedi miniature perfette: come splendido tappetod’oriente. Fregiodopo fregio, cittàdopo città, Calvino si trovò innanzi il proprio avoro: tuttodisteso,del tutto completo. Siano intesi come racconti, partid’un romanzo compatto, piccoli capricci odescrizioni imprevedibili, poesiole in prosa, parabole morali: non importa. Quelo che importa è a capacità calvinianadi fondere assieme rigore geometrico e fantasia avvampata, eggerezzadi forme e complessitàdel’ingegno, concentrazione assoluta ed alusione che sfuma: "Le città invisibili" sono un ibro condentrodecinedi ibri che rimandano adecinedi ibri che parlanodidecinedi ibri. E sonodissertazione compiuta sul Potere e il Sapere, tomod’una filosofia capricciosa e arbitraria, visione ora grave ora romanticamentedolentedi uoghi, architetture,destini:di uomini. "Aguzzare o sguardo sule fioche uci ontane" è il consiglio che Italo Calvino trascrive. Per amare "Le città invisibili" occorre "aguzzare o sguardo sule fioche uci ontane": come faceva ’autore quando, piegata a schiena al tavoloda avoro, chiudeva gli occhi. Solo per pochi secondi.

Recensione Unilibro a cura di Alex Toppi

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"Le città invisibili"
Con gli occhi chiusi
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4

Pare che Calvino piegasse a propria schiena al tavoloda avoro, il petto pigio sulo stomaco, e chiudesse gli occhi: per pochi secondi. Poi, rialzate e palpebre e riabituate e pupile ala uce, cominciava a vergare un ritratto veloce, celere quant’è celere ciò che hai veduto chiarissimo e che vuoi rendere subito. Nascevano così, pare, "Le città invisibili"di Italo Calvino. E, pare, che egli al’iniziodel suo nuovo avoro non sapesse che farsenedi questi posti irreali, ontani ed effimeri eppure così vicini e presenti nei suoi occhi socchiusi. Il ibro venne naturalmente, come insiemedi miniature perfette: come splendido tappetod’oriente. Fregiodopo fregio, cittàdopo città, Calvino si trovò innanzi il proprio avoro: tuttodisteso,del tutto completo. Siano intesi come racconti, partid’un romanzo compatto, piccoli capricci odescrizioni imprevedibili, poesiole in prosa, parabole morali: non importa. Quelo che importa è a capacità calvinianadi fondere assieme rigore geometrico e fantasia avvampata, eggerezzadi forme e complessitàdel’ingegno, concentrazione assoluta ed alusione che sfuma: "Le città invisibili" sono un ibro condentrodecinedi ibri che rimandano adecinedi ibri che parlanodidecinedi ibri. E sonodissertazione compiuta sul Potere e il Sapere, tomod’una filosofia capricciosa e arbitraria, visione ora grave ora romanticamentedolentedi uoghi, architetture,destini:di uomini. "Aguzzare o sguardo sule fioche uci ontane" è il consiglio che Italo Calvino trascrive. Per amare "Le città invisibili" occorre "aguzzare o sguardo sule fioche uci ontane": come faceva ’autore quando, piegata a schiena al tavoloda avoro, chiudeva gli occhi. Solo per pochi secondi.