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Tempi difficili. Per questi tempi - 9788806151355

di Charles Dickens Cifarelli M. R. (cur.) edito da Einaudi, 1999

Informazioni bibliografiche del Libro

 

"Non amare Dickens è un peccato mortale: chi non lo ama non ama nemmeno il romanzo" scrive Pietro Citati. Infatti Dickens fu amato da Tolstoj e Dostoevskij, da Conrad e Joyce, da Kafka ed Henry James che, si racconta, messo in punizione dalla madre e costretto a starsene a letto, dal letto discese, discese le scale che portavano al salotto, nel salotto s’acquattò sotto il tavolo, celato in segreto mentre, zitto, ascoltava la cugina maggiore leggere il "David Copperfield". Henry James fu trascinato dal letto a sotto la tavola dalle parole di questo dispensiere d’imbrogli, da questo truffaldino onestissimo che, certo, spaccia a buon mercato sentimenti onestissimi e che non riesce mai, davvero mai, a dare ragione al Male e a chi ha torto (com’è delle favole, com’è dei racconti più cari) ma che, sia detto con merito, in quanto a capacità di racconto, d’invenzione fantastica che si chiarifica per enorme quantità di particolari minuti, non è secondo a nessuno. Tant’è che fu amato dagli scrittori suddetti quanto fu amato da un popolo, quello britannico, che accorreva all’uscita d’ogni puntata d’ogni sua storia. Non fa eccezione questo "Tempi difficili" ch’è prodigio dolcissimo, dolcissima favola nera. Una fanciulla, un padre che si fa ombra, l’educazione che ella si merita sono apparenti argomenti, scuse, puerili strumenti per fare racconto: ciò che Dickens tratta, con maestria insuperabile, è il confronto tra l’arte fantastica (ed il diritto sacrosanto ai sogni) e l’asciutta, secca, ingrigita realtà dei numeri, delle formule, di un ordine che non fa che dare ordini. Terminerà com’è giusto che termini, dopo pagine di un’incantevole prosa.

Recensione Unilibro a cura di Alex Toppi

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L’incantevole prosa di Dickens
,
4

"Non amare Dickens è un peccato mortale: chi non lo ama non ama nemmeno il romanzo" scrive Pietro Citati. Infatti Dickens fu amato da Tolstoj e Dostoevskij, da Conrad e Joyce, da Kafka ed Henry James che, si racconta, messo in punizione dalla madre e costretto a starsene a letto, dal letto discese, discese le scale che portavano al salotto, nel salotto s’acquattò sotto il tavolo, celato in segreto mentre, zitto, ascoltava la cugina maggiore leggere il "David Copperfield". Henry James fu trascinato dal letto a sotto la tavola dalle parole di questo dispensiere d’imbrogli, da questo truffaldino onestissimo che, certo, spaccia a buon mercato sentimenti onestissimi e che non riesce mai, davvero mai, a dare ragione al Male e a chi ha torto (com’è delle favole, com’è dei racconti più cari) ma che, sia detto con merito, in quanto a capacità di racconto, d’invenzione fantastica che si chiarifica per enorme quantità di particolari minuti, non è secondo a nessuno. Tant’è che fu amato dagli scrittori suddetti quanto fu amato da un popolo, quello britannico, che accorreva all’uscita d’ogni puntata d’ogni sua storia. Non fa eccezione questo "Tempi difficili" ch’è prodigio dolcissimo, dolcissima favola nera. Una fanciulla, un padre che si fa ombra, l’educazione che ella si merita sono apparenti argomenti, scuse, puerili strumenti per fare racconto: ciò che Dickens tratta, con maestria insuperabile, è il confronto tra l’arte fantastica (ed il diritto sacrosanto ai sogni) e l’asciutta, secca, ingrigita realtà dei numeri, delle formule, di un ordine che non fa che dare ordini. Terminerà com’è giusto che termini, dopo pagine di un’incantevole prosa.