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Preghiera per Cernobyl'. Cronaca del futuro - 9788866320180
di Svetlana Aleksievic Rapetti S. (cur.) edito da E/O, 2011
Informazioni bibliografiche del Libro
- Titolo del Libro: Preghiera per Cernobyl'. Cronaca del futuro
- Autori : Svetlana Aleksievic Rapetti S. (cur.)
- Editore: E/O
- Collana: Tascabili e/o
- Data di Pubblicazione: 2011
- Genere: problemi e servizi sociali
- Argomento : Cernobyl'
- Curatore: Rapetti S.
- Traduttore: Rapetti S.
- Dimensioni mm: 210 x 0 x 23
- ISBN-10: 8866320188
- ISBN-13: 9788866320180
Prypiat, «la città-gioiello dell’Unione Sovietica», non è che un angolo di mondo in frantumi. I segnali stradali giacciono pieghi, ricurvi, distorti agli angoli di vie che hanno perso, interi, grossi brandelli d’asfalto. I negozi hanno serrande eternamente calate, rigonfie all’interno, su cui riposa stanca la polvere tra fessura e fessura, giù in basso alla chiusa, tra le pieghe dei lucchetti di cui non v’è più la chiave. L’angolo dove si vendevano fiori («Prypiat, la città dei fiori…» sembra mormori un ricordo, nascostosi al buio) non è che un dispaccio di ferraglia ossuta, sciancata, martoriata ed uccisa. Il gran viale della parata è una crepa spianata, una sola fenditura a livello, su cui passa ogni tanto un segno della vita trascorsa: ora una scheggia, di chissà quale piatto; ora un laccio, di chissà quale scarpa; ora una pagina; di chissà quale libro. A Prypiat la scuola non ha più i suoi studenti; le fabbriche non hanno più gli operai; le caserme non hanno più i loro pompieri. Mancano, a Prypiat, maestri, guardiani, venditori ambulanti; panettieri, pittori, medici e pasticcieri, infermieri, dipendenti di banca: mancano gli anziani alle panche dei viali; mancano le madri che fanno la spesa; mancano i bimbi, alle altalene dei parchi. A Prypiat manca la vita. Seccatasi nella frazione d’un attimo, a Prypiat manca la vita. Di questa mancanza, il gran tomo di di Svetlana Aleksievič rende ragione.
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La sventura di Prypiat dura un istante (esattamente quello che c’impiega una lancetta lentissima a passare dall’una, ventitre minuti, cinquantotto secondi al secondo cinquantanove) ma «è sventura tutta intera». Perché dopo l’istante, dopo quello scorcio d’istante, dopo quello scorcio d’uno scorcio d’istante, nulla è stato più identico, nulla è stato più uguale. Guastatosi il reattore numero quattro della centrale di Černobyl, ad un passo, forse due da Prypiat, nulla è stato più identico, nulla è stato più uguale. Non è stata più uguale la nascita: feti dalla pelle diafana venivano espulsi già marci, maculati da chiazze violacee, con bubboni di carne rancida e sfatta e lobi polmonari in decomposizione avanzata. Il cranio deforme, deforme la cassa toracica, deforme una coscia, il gomito, la spalla o la scapola. Deforme tutto ciò che poteva plagiarsi deforme. Non è stata più uguale la vita: il tempo s’è deciso a gocciolare al ritmo di flebo, rallentandosi fino allo spasimo; il mondo, la città, il proprio pezzo di luogo s’è ridotto ad un letto, dai sostegni di alluminio lucente. Il giorno, la notte, quell’indistinto che unisce il giorno alla notte, ha assunto la forma d’un soffitto fissato nel suo biancore cangiante: piagandosi, come ci si piaga quando si è morti pur respirando, ogni tanto sembrava che il soffitto cambiasse, che avesse una mano pittata diversa, che celasse una macchia a stento visibile. La vita s’è piagata fissando una macchia, a stento visibile. Non è stata più uguale la morte: metastasi, dai polmoni, risalivano in gola, si trascinavano in bocca, sforzavano in conati di vomito, in conati di vomito si mostravano al sole. Sangue e muco coloravano feci, ciuffetti di capelli s’abbandonavano all’aria, la pelle mutava colore: ora proponeva un riflesso bluastro, ora una tonalità di marrone, ora un’indefinibile misto di vermiglio, vinaccia, d’un ocra cadavere: tela per tavolozza malata, la pelle mutava colore. Non è stata più uguale la nascita, la vita, la morte per Tania, Andrej, Vitja; Volodja, Vladimir, Aleksandr; per oltre un milione di uomini, donne, bambini; per l’intera Unione Sovietica; per la grande madre matrigna. Non è stata più uguale per Vasilij Ignatenko e sua moglie Ljudmila. La loro storia, tra le altre storie, per non dimenticare.
Prypiat, «la città-gioiello dell’Unione Sovietica», non è che un angolo di mondo in frantumi. I segnali stradali giacciono pieghi, ricurvi, distorti agli angoli di vie che hanno perso, interi, grossi brandelli d’asfalto. I negozi hanno serrande eternamente calate, rigonfie all’interno, su cui riposa stanca la polvere tra fessura e fessura, giù in basso alla chiusa, tra le pieghe dei lucchetti di cui non v’è più la chiave. L’angolo dove si vendevano fiori («Prypiat, la città dei fiori…» sembra mormori un ricordo, nascostosi al buio) non è che un dispaccio di ferraglia ossuta, sciancata, martoriata ed uccisa. Il gran viale della parata è una crepa spianata, una sola fenditura a livello, su cui passa ogni tanto un segno della vita trascorsa: ora una scheggia, di chissà quale piatto; ora un laccio, di chissà quale scarpa; ora una pagina; di chissà quale libro. A Prypiat la scuola non ha più i suoi studenti; le fabbriche non hanno più gli operai; le caserme non hanno più i loro pompieri. Mancano, a Prypiat, maestri, guardiani, venditori ambulanti; panettieri, pittori, medici e pasticcieri, infermieri, dipendenti di banca: mancano gli anziani alle panche dei viali; mancano le madri che fanno la spesa; mancano i bimbi, alle altalene dei parchi. A Prypiat manca la vita. Seccatasi nella frazione d’un attimo, a Prypiat manca la vita. Di questa mancanza, il gran tomo di di Svetlana Aleksievič rende ragione.
Reportage narrativo su Cernobyl, una ricostruzione non degli avvenimenti, ma dei sentimenti.